In questi mesi di assenza dal blog, tra le tante cose, ho rivalutato uno dei social più in voga ora: TIKTOK. Inizialmente l’ho ignorato (a causa della superficialità dei contenuti), poi sottovalutato e, infine, apprezzato. Perché come qualsiasi altra piattaforma sul web, anche Tiktok, usato nel modo giusto, può essere un’opportunità di crescita in più per la nuova generazione.
Un profilo, più degli altri, mi ha colpito e divertito: quello di Pietro Morello, un giovane artista di Torino, talentuoso ed interessante. Un ragazzo che, come vi renderete conto dall’intervista, ha molto da raccontare e da donare al prossimo.
1. Il tuo talento musicale ha colpito positivamente un importante pubblico su Tiktok. Com’è nata questa tua passione per la musica?
Ormai tanto tempo fa, quando avevo circa 12 anni, un insegnante di chitarra mi ha illuminato la strada della musica. Il tutto si è concretizzato sul pianoforte, quando ho iniziato a giocare con il piano che avevo in casa. Poi da lì ho capito chiaramente la mia vera passione, quella per la composizione.
2. Da cosa è partita l’idea di utilizzare un social come Tiktok per far conoscere te e la tua musica?
In quarantena, per gioco, ho pensato che mettere la mia musica su un social nuovo potesse essere un ottimo modo per farla ascoltare. In fondo la migliore piazza in cui dire le cose, è la piazza piena.
Fare musica in strada ha un significato importante: donare.
La musica non va venduta, non va mercificata. La musica è qualcosa che bisogna dare al mondo.
3. Nei tuoi video tiktok ti tiene spesso compagnia il tuo simpatico e paziente Vicino. C’è qualche aneddoto divertente che condividete e che ti piace raccontare?
Il caro vicino mi vuole molto bene in realtà! Ogni cosa che mi “urla” dall’altra parte del muro la urla quasi scherzando (- anche se, ammetto, ogni tanto lo faccio davvero esasperare). Un giorno, ormai quasi tre anni fa, mi dimenticai le chiavi e mi feci aprire casa da lui. Me lo rinfaccia tuttora. Tre anni dopo.
4. È una domanda che ti è stata già fatta abbondantemente ma te la ripropongo. Quanti strumenti musicali sai suonare? Qual è stato il primo strumento che hai imparato ad usare e quale il prossimo che desideri imparare?
Per adesso suono cinque strumenti, e gioco con tutto quello che fa musica. Come primo strumento ho imparato la chitarra, e il prossimo… beh, non mi dispiacerebbe per niente imparare la ghironda.
5. Su Spotify è possibile ascoltare i tuoi due primi brani pubblicati online: Filo(sofia) e Hygge. Qual è la loro storia?
Filo(sofia) oltre ad essere un inno alla cultura e una dedica a una fanciulla, è uno sfogo emotivo, che cerca di mostrare quanto l’arte possa stare anche nella musica senza parole. Hygge invece è un brano uscito da poco, composto per mia nonna; vuole esprimere a pieno tutta la filosofia Hygge, quindi quella per cui unire ogni momento bello di una qualsiasi situazione fa sì che si entri in uno stato di felicità.
La foto, provocazione pura.
Ho sempre studiato musica per conto mio, ho sempre affrontato la musica senza “binari” dati da qualcun altro, senza insegnanti che mi facessero suonare ciò che loro volevano. Senza gli “abiti” di qualcun altro.
Così continuo a fare. I miei abiti, nell’intimità, sono questi.
6. Quali sono le persone che, fuori e dentro il mondo della musica, sono fonte di ispirazione per te?
Da sempre la buona musica italiana, da Morricone a De Andrè, ma amo spaziare, quindi non disdegno una playlist con Dalla e Madame.
7. Nella tua didascalia di Instagram hai scritto – “Sono medico della felicità”-. Cosa significa per te questa frase? Lo strumento che utilizzi per farlo (rendere felice il prossimo) è quindi la musica?
Il “medico della felicita” è un termine coniato da me e alcuni miei amici, in missione, perché noi non siamo medici che curano le ferite, non siamo infermieri che mettono flebo di antibiotici.
Siamo medici in altri sensi: noi curiamo i bambini che non sanno come sorridere, che non sono mai stati bambini. Noi, con una chitarra, una voce e un sorriso obbligatoriamente stampato in faccia, mettiamo in luce l’infanzia ai bambini che vivono (o almeno, sopravvivono) in quei luoghi fatiscenti.
8. A tal proposito, spesso condividi sui social la gioia che provi per i momenti che vivi in missione. Da cosa è nata questa scelta? Puoi raccontarci delle tue missioni?
In una famiglia di insegnanti, sono sempre stato orientato verso il pensiero che l’unico modo concreto che ho di cambiare il mondo è quello di lavorare con i bambini. Il passo dal banco di scuola ad una baraccopoli, non è così lungo.
9. Per chi è interessato a seguire un percorso così prezioso, hai qualche consiglio da dare? Magari qualcosa del tipo: “quello che avrei voluto sapere prima di partire in missione”.
Andare per gradi. Chi non ha ancora misurato il proprio corpo in missione non può subito fare una spedizione lontanissimo da casa, che non gli permette di tornare indietro in caso di difficoltà. Inoltre, guardare un po’ “oltre l’ Africa”. Mi spiego: per quanto sia stracolmo di luoghi bisognosi come continente, non è l’unico. E spesso non è una buona scelta per iniziare, per il discorso che ho fatto prima, appunto.
10. Infine ti chiedo: quali sono i tuoi obiettivi futuri? La musica è e continuerà ad essere l’unica professione che vorrai perseguire nella vita?
La musica non è mai stata l’unica professione che voglio seguire nella vita. Io vorrei continuare ad utilizzarla nel mondo della cooperazione internazionale, e vorrei insegnare storia e filosofia al liceo.